Riportiamo la lettera che ha inviato un Generale di Corpo d’Armata dei Carabinieri della Riserva Paolo Romano al vice premier e Ministro dell’Interno Matteo Salvini, riguardante il taglio delle pensioni d’oro. Il Generale Paolo Romano, così nella lettera:
“Chi Le scrive serve il Paese da oltre 46 anni: prima come ufficiale dei Carabinieri per 32 anni, successivamente come dirigente della Presidenza del Consiglio per 8 anni, poi come Capo Ufficio legislativo del Ministero della Difesa per 4 anni; dal 2016, collocato in quiescenza dall’Arma dei Carabinieri con il grado di generale, svolge le funzioni di magistrato contabile.
Mi piace pensare che Lei voglia leggere questa mia, intesa a presentarLe alcune riflessione sul tema delle “pensioni d’oro”, per come affrontato nei due disegni di legge, d’iniziativa parlamentare, recentemente posti all’attenzione del Parlamento ( D’UVA e MOLINARI: “Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo, secondo il metodo contributivo, dei trattamenti pensionistici superiori a 4.000 euro mensili” A.C.1071” ed analoga previsione depositata al Senato).
Al netto delle emergenti, possibili questioni di costituzionalità dell’intervento, che affido alle valutazioni di giuristi certamente più qualificati, ma considerata la concretezza che La distingue, mi preme evidenziarLe come i testi richiamati risultino, allo stato, inapplicabili alle diverse realtà di stato giuridico che caratterizzano la condizione di militare o di appartenente alle forze di polizia, per i quali i limiti anagrafici di servizio, ad esempio, sono anticipati in relazione alla natura usurante delle attività nonostante essi, per le medesime ragioni, possano fruire fino a cinque anni di anzianità aggiuntiva. Nel mio caso, ad esempio all’atto del pensionamento, fra contributi effettivi e quelle previsti per norma, risultavano circa 50 anni utili al fine specifico, e sessantuno anni anagrafici, il tutto a raggiungere quota 111!
Nonostante queste premesse la pensione che mi è stata liquidata, pari a circa 5600 euro mensili, secondo il ddl, per la parte eccedente i 4000 euro ( o forse 4500) andrebbe sottoposta ad un taglio correlato agli anni di anticipo con cui avrei lasciato il servizio rispetto ai limiti d’età generalmente previsti dallo schema di legge all’esame. Un effetto veramente distorsivo, se solo si considera, altresì, che il mio servizio al Paese non si è interrotto ma prosegue in altra veste, quella di magistrato.
Al riguardo, desidero rammentare a me stesso che la specificità della professione militare è da sempre riconosciuta e per ultimo affermata, anche in via ordinamentale attraverso l’art.19 della vigente legge 4 novembre 2010 n. 183, che stabilisce come la definizione della tutela pensionistica del personale del comparto sicurezza- Difesa debba avvenire attraverso provvedimenti specifici e differenziati, trattandosi di attività altamente usuranti.
Questo quadro normativo non risulta minimamente considerato negli articolati in questione, ed è dunque lecito chiedersi se la circostanza non voglia significare un silenzioso, e francamente ipocrita, superamento di tale principio, invece cruciale per gli appartenenti al citato comparto ed assolutamente rilevante in punto di sicurezza nazionale.
Il principio di un trattamento pensionistico diversificato rispetto al pubblico per il comparto Sicurezza- Difesa (Dlgs n. 165/1997) peraltro, è stato osservato persino dalla legge “Fornero” che non incise sui requisiti previdenziali di quel settore, e si limitò a prevederne una blanda armonizzazione attraverso un regolamento che tenesse comunque “conto delle obiettive peculiarita’ ed esigenze dei settori di attivita’ nonche’ dei rispettivi ordinamenti”.
Senza ulteriori tecnicismi desidero altresì evidenziarLe come tali iniziative legislative riguardino sia il personale del comparto in servizio che quello già in quiescenza, ma con coefficienti e calcoli diversi: ciò determinerà un irragionevole squilibrio fra le due platee. Pensioni d’annata, insomma.
I provvedimenti avranno un negativo, diffuso impatto sul morale e sulla compattezza dei quadri e della dirigenza di tutto il comparto, considerato che mortificano coloro che, durante il servizio, trascorso o attuale, sono stati e sono chiamati ad assumersi superiori responsabilità e rischi fuori del comune, rischi che in ogni momento avrebbero potuto tramutarsi, o si sono tramutati, in incidenti e lesioni.
Nella sostanza nessun favoritismo e nessun privilegio per il comparto ma la richiesta di una giusta considerazione delle nostre storie di vita e di lavoro; sono certo che moltissimi dei miei colleghi, in servizio e non, provano in questo momento sgomento e delusione rispetto ad un approccio legislativo e dunque anche politico, che, allo stato, non sembra adeguato alla delicatezza ed alla rilevanza del tema.
Le chiedo, dunque, un doveroso approfondimento circa le questioni poste, per evitare che un principio di equità, forse condivisibile ma per ora applicato in maniera indiscriminata cioè senza tener conto delle diverse realtà che ricadono nel suo perimetro, determini danni alla indispensabile sintonia che un grande Paese come il nostro deve mantenere con le Istituzioni preposte alla sicurezza e difesa.
Insomma, e concludo, situazioni diverse – come più volte affermato dalla Corte Costituzionale- non possono essere trattate in modo uguale, e ciò è tanto più vero se si fa riferimento all’ampia categoria del pubblico impiego ed in questa si focalizza la vita militare.
Valuti, dunque, Signor Ministro, la prospettiva di affermare in concreto questo principio nel contesto descritto, facendosi interprete delle esigenze ma, soprattutto, delle giuste aspettative di tutto il personale che rappresenta.
Si tratta di uomini che verso di Lei avvertono la fiducia serena di chi conosce meglio i doveri che i diritti, avendo in più circostanze registrato, nelle Sue espressioni, parole di vivo apprezzamento e gratitudine”.
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