14/02/18

Statali, troppa differenza tra stipendio e pensioni: per la Corte dei Corti urge una perequazione.

14/02/2018




Statali, troppa differenza tra stipendio e pensioni: per la Corte dei Corti urge una perequazione.


(Avv. Ivano Zilio) - La Corte dei Conti sezione di Bari con la sentenza nr. 53/2018 ha valutato la richiesta del ricorrente, un ex dipendente del Ministero degli interni, per l’accertamento del diritto alla perequazione del trattamento pensionistico.
La richiesta nasce della vigenza nell’ordinamento del principio di automatico collegamento della misura delle pensioni al trattamento retributivo del personale in servizio. Il suddetto principio non è, in effetti, contenuto in alcuna espressa disposizione legislativa che lo sancisca in termini generali, ma viene di volta in volta invocato quando si ponga per una categoria di pubblici dipendenti la necessità di uno speciale adeguamento del trattamento di quiescenza, in relazione ad una dinamica salariale del personale in servizio che venga a discostarsi in misura notevole dai valori economici precedentemente attribuiti e sui quali veniva calcolato il trattamento di quiescenza.
La Corte costituzionale (sent. n. 409 del 1995) ha avuto occasione di affermare che i modi attraverso i quali perseguire l’obiettivo dell’aggiornamento delle pensioni dei pubblici dipendenti possono essere, in via di principio, o la riliquidazione ( allineamento delle pensioni al trattamento di attività di servizio di volta in volta disposto con apposita legge ) o la c.d. “perequazione automatica” consistente in un meccanismo normativamente predeterminato, che adegui periodicamente i trattamenti di quiescenza agli aumenti retributivi intervenuti mediamente nell’ambito delle categorie del lavoro dipendente.
E’ certo, comunque, che solo in casi particolari il legislatore ha ritenuto di agganciare automaticamente la pensione allo stipendio, dettando apposite disposizioni.
La Corte costituzionale, data la natura di retribuzione differita che deve riconoscersi al trattamento pensionistico, ha affermato, con orientamento risalente nel tempo, il principio della proporzionalità della pensione alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché della sua adeguatezza alle esigenze di vita del lavoratore della sua famiglia, nel pieno rispetto dell’art. 36 Cost. e tuttavia ha altrettanto costantemente affermato che non esiste un principio costituzionale che possa garantire l’adeguamento costante delle pensioni agli stipendi, spettando alla discrezionalità del legislatore determinare le modalità di attuazione del principio sancito dall’art. 38 Cost. sulla base di un “ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti (…) compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per farvi fronte ai relativi impegni di spesa ma con il limite, comunque, di assicurare la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona.” ( sentenza n. 457 del 1998 ).
La stessa Corte costituzionale ha, comunque, affermato che l’eventuale verificarsi di un irragionevole scostamento tra i due trattamenti può costituire un indice della non idoneità del meccanismo scelto dal legislatore ad assicurare la sufficienza della pensione in relazione alle esigenze del lavoratore e della sua famiglia ( sentenze n. 409 del 1995 e n. 226 del 1993 ) . In quest’ultima pronuncia si riporta l’attenzione del legislatore sulla necessità di sorvegliare l’andamento del fenomeno “al fine di evitare che esso possa pervenire a valori critici tali che potrebbero rendere inevitabile l’intervento correttivo della Corte”.
Nella presente situazione delle pensioni del settore pubblico, pertanto, sembra non si possa individuare più l’esercizio di una discrezionalità legislativa nell’attuare – sia pur variamente – l’adeguamento costante tra i due tronconi del trattamento retributivo ( quello di attività e quello pensionistico ), ma che si debba parlare di una completa negazione di quel principio di“solidarietà” tra lavoratori e pensionati, cui si deve affiancare una solidarietà più ampia dell’intera collettività, come argomenta la sentenza costituzionale n. 226/1993;
Né può essere dimenticato che se è vero – come la Corte costituzionale ha più volte rilevato – che il legislatore deve farsi carico della non illimitatezza delle risorse finanziarie, è anche vero che dalla natura retributiva del trattamento di quiescenza sembrano derivare conseguenze non trascurabili ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione.
In applicazione, quindi, degli articoli 36 e 38 della Costituzione, la Corte dei Conti sezione Puglia, ha ritenuto che debba essere affermato il diritto del ricorrente alla perequazione del trattamento pensionistico, con aggancio ai miglioramenti economici concessi al personale di pari qualifica ed anzianità in attività di servizio. Sulle somme in tal senso dovute spettano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, alle condizioni di legge.

(articolo tratto dal portale di informazione: INFODIFESA.it 

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